Sclerosi multipla e nesso causale
La Cassazione ricorda che l'esistenza del nesso di causalità tra un agente patogeno e la Sclerosi Multipla debba essere provata dal prestatore assicurato (lavoratore dipendente) secondo i criteri ordinari, e non si può presumere dal solo fatto che la malattia sia annoverata nelle speciali tabelle previste dall'ente Inail.
Svolgimento del processo
1. il Tribunale di Frosinone accoglieva la domanda di P.A. volta ad ottenere dall'Inail il riconoscimento della natura professionale della malattia "sclerosi multipla", asseritamente contratta nello svolgimento dell'attività di lavorazione del marmo e delle pietre dure svolta in qualità di scultore, e la costituzione di una rendita pari all'80%;
2. la Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame dell'Inail e rigettava la domanda, rilevando la mancata sussistenza del nesso di causalità tra la malattia e le mansioni svolte;
3. P.A. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a 4 motivi;
4. l'Inail ha resistito con controricorso.
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso, P.A. denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 1124/1965 per inadeguatezza del CTU e con il secondo motivo la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c, in quanto il giudice di merito non avrebbe tenuto conto delle caratteristiche concrete dell'attività lavorativa, mai contestate dall'Inail;
Diagnosi non concordi
1.1. i due motivi si condensano nell'espressione di un mero dissenso diagnostico volto a contestare nel merito la decisione impugnata, chiedendosi un nuovo esame delle circostanze fattuali che sono state già valutate nella consulenza tecnica posta dalla Corte di merito a fondamento della decisione, in corretta applicazione del criterio della ragionevole probabilità scientifica nella valutazione della sussistenza del nesso causale.
Palese devianza dalla scienza medica
Si tratta pertanto di doglianze da ritenersi inammissibili siccome, per consolidato orientamento di questa Corte, la sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio può essere contestata in Cassazione soltanto in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata in ricorso, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi; mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce un mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice (v. ex plurimis da ultimo Cass. ord. 23/12/2014 n. 27378, Cass. 16/02/2017 n. 4124, Cass. 19/05/2017 n. 12722).
2. Con il terzo motivo di ricorso viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., assumendosi che l'Inail avrebbe contestato alcuni fatti fondanti il diritto da parte dell'odierno ricorrente a vedersi riconosciuta la malattia professionale solo in sede di appello.
2.1. Il motivo non è fondato, alla luce del principio, ribadito da ultimo da Cass. n. 8708 del 04/04/2017 (ma v. in precedenza anche Cass. n. 185 del 09/01/2002), secondo il quale "la non contestazione dei fatti non costituisce prova legale, bensì un mero elemento di prova, sicché il giudice di appello, ove nuovamente investito dell'accertamento dei medesimi con specifico motivo di impugnazione, è chiamato a compiere una valutazione discrezionale di tutto il materiale probatorio ritualmente acquisito, senza essere vincolato alla condotta processuale tenuta dal convenuto nel primo grado del giudizio".
3. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., in quanto la Corte territoriale non avrebbe rilevato che le contestazioni dell'Inail erano tardive, e 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che si viene a creare, nella prospettazione della Corte di merito, tra soggetti portatori di malattie inserite o meno nella tabella allegata al DPR n. 1124 del 1965.
3.1. Il motivo non è fondato, considerato quanto già detto in relazione al primo profilo e che, con il sistema c.d. misto a liste aperte, ai fini della tutela previdenziale, è irrilevante che la malattia dell'assicurato rientri o no fra quelle tipiche elencate nelle tabelle o riconducibili ad un certo agente patogeno mediante lavorazioni specificamente indicate, essendo necessario, ma anche sufficiente, che essa derivi da causa professionale o di lavoro (Cass. n. 5641 del 17/10/1988, n. 27752 del 30/12/2009).
4. Né può ravvisarsi alcuna violazione di precetti costituzionali nel fatto che la riconducibilità della patologia sofferta dal prestatore di lavoro alle previsioni di cui alla tabella n. 4 allegata al d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 escluda la necessità di provare l'esistenza del nesso di causalità tra il morbo contratto e l'attività professionale svolta, mentre nel caso in cui la malattia non rientri nella previsione tabellare, oppure non vi rientri l'attività lavorativa svolta o non sussistano tutti i presupposti richiesti dalla tabella per far rientrare l'attività stessa all'interno della sua previsione, l'esistenza del nesso di causalità debba essere provata dal prestatore assicurato secondo i criteri ordinari.
Ciò in quanto il sistema ha la funzione di rendere la tutela antinfortunistica adeguata alle peculiarità dell'esposizione a rischio come verificatasi nel caso concreto, disponendo con l'art. 3 del T.U un rinvio recettizio alle previsioni delle tabelle, che vengono rinnovate tenendo conto delle acquisizioni della scienza medica nelle forme e nei modi previsti dall'art. 10 del d.lgs n. 38 del 2000 per mezzo dei lavori dell'apposita Commissione scientifica.
5. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore notificata ex art. 380 bis c.p.c., all'esito della quale le parti non hanno formulato memorie, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ..
6. Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
7. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.500,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5.4.2018.
Cassazione Civile, Sez. 6, 01 giugno 2018, n. 14052