Circolazione Extracorporea - Embolia

Uno dei casi in cui i medici sono più esposti ad errore tecnico nel corso dello svolgimento di una particolare e delicata tipologia di intervento chirurgico è senz’altro l’operazione cardiovascolare c.d. a cuore aperto.

Pur non scendendo nel dettaglio tecnico,  nel corso di tale intervento fondamentale è la partecipazione di un tecnico perfusionista, ossia di un professionista che sappia utilizzare uno specifico macchinario che consente di attivare la circolazione extracorporea. Tale meccanismo consente di derivare il sangue del paziente in un circuito esterno, ossigenarlo e restituirlo con una pressione sufficiente alla perfusione dei tessuti.

In altri termini, la circolazione extracorporea eseguita mediante il predetto macchinario sostituisce per il periodo necessario durante l’intervento cardiochirurgico i polmoni e il cuore, isolando quest’ultimo e consentendo al chirurgo di operare su questo organo con le camere cardiache esangui, ossia senza sangue, da qui la definizione di operazione a cuore aperto.

Semplificando notevolmente la descrizione, questo è quanto avviene: il sangue viene prelevato dalla vena cava o direttamente dall’atrio destro, passa per un dispositivo chiamato ossigenatore che ha la funzione di ossigenare il sangue così come farebbero i polmoni e, infine, viene ripompato nel sistema arterioso del paziente.

Attivazione della circolazione esterna

Nel corso delle superiori operazioni, allorché si procede all’attivazione della circolazione extracorporea, molte sono le cose che possono “andare storte”, provocando conseguenza a volte irreversibili.

Tra queste vi è senz’altro la possibilità che si formi una miscela gassosa nel sangue circolante nel sistema extracorporeo.

Detto fenomeno può essere dovuto a diversi fattori: può dipendere da una cattiva debollazione iniziale del circuito (in tal caso il malfunzionamento risulta evidente sin dal principio), può derivare dallo svuotamento della riserva venosa (in questa ipotesi il macchinario prevede un allarme sonoro che dia contezza al tecnico del problema che si sta verificando), ovvero può verificarsi il fenomeno della cavitazione (sussistente allorquando la pressione parziale di un gas disciolto in un liquido diventa superiore alla pressione idrostatica del sangue.

È proprio quest’ultimo fenomeno che sembra essersi verificato nella drammatica operazione che ha portato alla morte di un paziente. Con ogni probabilità la pressione del sangue nell’ossigenatore è stata portata ad un livello inferiore rispetto a quello presente nel lato gas. Ne è derivato, oltre alla liberazione di bolle provenienti dai gas disciolti nel plasma del sangue, il passaggio di tali bolle gassose attraverso la superficie microporosa di separazione gas – sangue dell’ossigenatore. Ciò ha provocato il trasferimento delle bolle all’interno del sistema cardiovascolare del paziente, determinando un’embolia gassosa massiva celebrale, cui è conseguito un danno neuronale ipossico diffuso con spiccato edema celebrale ed arresto del flusso ematico.

La superiore embolia è risultata pertanto letale.

Embolia gassosa massiva

Dalla trattazione del caso medico sopra esposta appare lampante l’utilità e, anzi, l’indispensabilità della circolazione extracorporea.

Laddove correttamente eseguita questa, come detto, consente alla macchina di sostituirsi al cuore e ai polmoni, permettendo all’equipe medica di portare a termine l’operazione a cuore aperto.

Il corretto funzionamento della strumentazione, unitamente al corretto utilizzo che il perfusionista è chiamato a farne, dovrebbero condurre all’effetto che il sangue del paziente venga incanulato verso una pompa che si sostituisce al cuore e lo spinge poi ad un ossigenatore dove avvengono gli scambi gassosi, per poi essere reinfuso al paziente tramite una linea arteriosa.

Chi si trova a vivere accanto ad una persona con una grave patologia è quasi malata anch’essa.

Si condivide il dolore, la paura, quasi la sensazione fisica di non farcela, di non riuscire a combattere per lungo tempo. Nel bene e nel male i prossimi congiunti e le persone care partecipano agli stati d’animo che quotidianamente colpiscono chi è chiamato ad esser forte.

Quando il medico comunica al paziente che dovrà affrontare un intervento a cuore aperto tale notizia non potrà che incidere sull’intera famiglia; un po’ come quando un giudice pronuncia una sentenza di condanna alla reclusione, magari all’ergastolo. La pena, così come l’intervento medico, investe chi è vicino all’interessato, talvolta ancor più dell’interessato stesso.

Si combatte, ci si fa forza e si affronta la situazione insieme.

Ma arriva un momento, successivo, in cui a dover ascoltare la notizia della morte, dell’errore, della complicazione per la quale non c’è stato nulla da fare, non c’è più l’interessato, i famigliari sono soli, nell’incredulità, nell’iniziale sconcerto e poi, più tardi, nella disperazione.

Tutti noi dobbiamo fare i conti con la morte delle persone che ci sono vicine, ricordarlo appare quasi superfluo, eppure quando i nostri cari ci sono strappati a causa dell’errore umano non riusciamo ad accettarlo; la rassegnazione interviene molto più in fretta in caso di malfunzionamento di una macchina, ma per l’errore commesso da un uomo no, non riusciamo a perdonare.

Vale però la pena ricordare che tra le vite distrutte da un errore fatale vi è quella del medico o del tecnico che per tutta l’esistenza dovrà fare i conti con i propri rimpianti, “se fossi stato più attento”, “se potessi tornare indietro”.

Non bisogna dimenticare che, sebbene sia difficile da accettare, l’uomo da cui dipende la nostra vita resta pur sempre un uomo; può distrarsi, può essere assalito dalla stanchezza e in definitiva, suo malgrado, può trasformarsi nel nostro carnefice e, seppur in un modo diverso, nel carnefice dei nostri famigliari.

Sono talmente tante le componenti che devono sussistere affinchè un intervento ad alto rischio vada bene; chi crede prega, chi non crede aspetta soltanto che il proprio destino si compia nel bene o nel male.

Ischemia del cuore

Dalle statistiche Istat emerge che le ischemie del cuore rappresentano la prima causa di decesso in Italia; ma non solo, più in generale le malattie cardiovascolari costituiscono la prima causa di morte nel mondo.

È evidente quindi che si tratti di patologie molto frequenti, aggravate dal tabagismo e per cui non di poco conto risulta essere la componente ereditaria.

Non sempre però è necessario intervenire chirurgicamente, essendo in molti casi controllabile la patologia mediante una costante terapia farmacologica. Tuttavia, in casi più gravi, soltanto l’intervento chirurgico può in qualche modo essere risolutivo, alle volte a cuore aperto. Ciò si verifica quando occorre riparare o sostituire valvole cardiache che consentono il passaggio del sangue al cuore, o quando si procede all’inserimento di dispositivi medici che aiutano il cuore a battere correttamente, o ancora, nei casi più estremi di trapianto di cuore.

Parto con circolazione extracorporea

Tra i casi di utilizzo della circolazione extracorporea che più hanno scosso le coscienze si evidenzia l’incredibile storia di una mamma romana che lo scorzo marzo, pur trovandosi in regime di circolazione extracorporea, ha data alla luce una bambina sana.

La mamma era affetta da broncopolmonite e rischiava di non poter portare a termine la gravidanza a causa delle sue condizioni fortemente debilitate, ma i medici dell’Umberto I di Roma sono riusciti a tenere la paziente attaccata al macchinario per venti giorni, sino al momento in cui hanno praticato il cesareo.

Pur nella complessità di tali operazioni, appare giusto ricordare che, benchè non si sia mai al riparo dall’errore, esistono molti casi in cui gli uomini vanno oltre le difficoltà tecniche e portano a casa risultati straordinari, ridonando speranza o addirittura la vita a chi vi aveva già rinunciato.

Risarcimento danni

Nel mare di acqua cristallina che vede giorno dopo giorno brillanti equipe mediche raggiungere obiettivi sino ad un attimo prima impensabili vi sono anche macchie di fango costituite dalle vite strappate dagli errori medici.

In questi casi, pur essendo impossibile riottenere la serenità, si può comunque ottenere giustizia.

È possibile inoltrare un’azione civile diretta al risarcimento dei danni sofferti in ragione della morte di una persona cara. In siffatta ipotesi andrà notificato un atto di citazione nei confronti, non solo del medico, ma anche della struttura presso la quale il medico che ha commesso l’errore opera.

Quanto sopra si spiega in virtù di due diverse responsabilità pendenti in capo al professionista e alla struttura sanitaria; quest’ultima risponderà per responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., essendosi concluso il contratto al momento dell’accettazione del ricovero. Nello specifico, in tale ipotesi si rintraccia il contratto atipico, ossia non avente una disciplina precostituita nel codice civile, di spedalità, consistente nell’assicurare l’ospitalità nella struttura, nonché l’adeguatezza della strumentazione presente per la terapia necessaria al paziente.

Inoltre, va ricordato il disposto di cui all’art. 1228 cc, il quale stabilisce che salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’inadempimento si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.

Ne consegue che, allorquando si verifichi un errore per colpa medica, il dottore risponderà quale prestatore d’opera ai sensi dell’art. 2236 cc, che statuisce come la diligenza di quest’ultimo vada valutata con relazione alla natura della prestazione, mentre la struttura sanitaria risponderà nei termini sopra esposti; sarà quindi opportuno citarli entrambi.

Nell’atto andrà poi verosimilmente chiesto sia il ristoro dei danni non patrimoniali, tra cui rientrano il danno biologico, esistenziale e morale, che dei danni patrimoniali, tenuto conto delle spese affrontate e del mancato guadagno del defunto o del danneggiato divenuto inabile al lavoro.

Spetterà al paziente, o ai prossimi congiunti in caso di decesso, dare prova della fonte del proprio diritto, negoziale o legale, e dei danni effettivamente sofferti, mentre sarà onere del debitore dare eventualmente la prova del suo corretto adempimento.

Sono legittimati a promuovere l’azione tutti coloro che assumano di aver subito un danno in seguito al fatto colposo del medico che ha cagionato la morte, anche nei casi di particolare difficoltà tecnica quali le operazioni sopra descritte con utilizzo del macchinario di circolazione extracorporea.