Epatite C - Contagio in ospedale
Una delle malattie più insidiose che ci possono colpire, poiché spesso asintomatica, è rappresentata dall’epatite C.
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Si tratta di una malattia infettiva provocata dalla contrazione del virus HCV, che colpisce il fegato poiché riesce a moltiplicarsi prevalentemente nelle cellule epatiche, finendo il più delle volte col cagionare un’epatite cronica che può evolvere in fibrosi, cirrosi o anche nei casi più gravi in carcinoma epatico.
L’insidia della malattia sta proprio, come detto, nell’assenza di sintomi, che possono manifestarsi anche dopo trent’anni dall’infezione, tant’è che approssimativamente circa l’80% delle persone che ne sono affette non ne è ancora a conoscenza e non lo sarà sino a quando l’evoluzione del virus HCV non raggiungerà livelli tali da spingere il paziente a consultare uno specialista o addirittura al ricovero in ospedale; il virus generalmente inizia a moltiplicarsi dopo due settimane dalla trasmissione che, va ricordato, può avvenire soltanto mediante il contatto del sangue sano con sangue infetto.
Il momento più determinante è certamente la diagnosi dell'epatite c, in quanto dal giorno di conoscenza di essere stati contagiati decorrono i termini di prescrizione per avviare la richiesta di risarcimento.
Successivamente al contagio è anche possibile che alcuni pazienti, in seguito alla reazione del sistema immunitario, debellino il virus senza bisogno di terapie e senza neanche mai accorgersi di averlo contratto; più di frequente tuttavia l’epatite C finisce con il cronicizzarsi e talvolta con il trasformarsi in un’epatite acuta con sintomi anche gravi.
Sono circa 160 milioni le persone nel mondo che ne sono affette e peraltro l’Italia risulta essere il paese dell’Europa occidentale più colpito.
L’elevata rischiosità della malattia è legata essenzialmente alla sua evoluzione e al degenerare delle condizioni cliniche del paziente, che potrebbe riportare danni al fegato, cirrosi epatica, insufficienza epatica e perfino la morte. Non solo, oltre alle conseguenze che si pongono come direttamente ricollegabili al virus HCV, vi sono patologie che ne rappresentano un effetto indiretto, come ad esempio il diabete di tipo 3, il linfoma di Hodgkin o l’ictus.
Deve essere ricordato che ad oggi non esiste alcun vaccino per fronteggiare e in qualche modo limitare il pericolo di contrarre la malattia.
Contatto con sangue infetto
L’HCV, come sopra chiarito, è un virus trasmissibile soltanto mediante il contatto con il sangue infetto.
Il luogo in cui il rischio di contagio è quindi ai massimi livelli è rappresentato dall’ospedale, ove quotidianamente si ha a che fare con il sangue e con eventuali emorragie in corso. È qui pertanto che si verifica il più elevato numero di infezioni, talvolta a causa di errori commessi dal personale sanitario o parasanitario.
Ciò è accaduto ad un uomo di Firenze, che proprio in ospedale, durante un esame di controllo legato alla sua condizione di malato oncologico, veniva in contatto con del sangue infetto e risultava successivamente affetto da epatite C.
Il contatto era causato da un infermiera che, di fronte ad un emorragia provocata dalla rottura della vena nel corso di un’infusione, aveva tamponato la ferita con dei guanti già utilizzati e sporchi di sangue; per tale errore veniva quindi chiesto ed ottenuto un risarcimento di circa 40 mila euro (Sentenza 17-03-2015, R.G. 7007/2009).
Questo è proprio quello che in una struttura ospedaliera non dovrebbe mai accadere: porre un paziente in contatto con il sangue di un altro paziente. Non soltanto per evitare la contrazione del virus HCV, ma ovviamente per evitare la contrazione di qualsiasi altro virus e aggravare lo stato clinico della persona.
Errori in ospedale
Non occorrono titoli e onorificenze nell’ambito della scienza medica per comprendere che al fine di tutelarsi dalla contrazione del virus, in assenza di vaccini, è opportuno in primo luogo evitare comportamenti che possano provocare in qualche modo l’unione del nostro sangue con il sangue infetto. Basti pensare, oltre al sopra esposto caso di errore in ospedale a noi non imputabile, alla tossicodipendenza endovenosa e al conseguente utilizzo di siringhe usate.
Una volta contratta l’epatite C, esistono terapie volte all’eradicazione del virus, così dal evitare le complicazioni che una sua diffusione potrebbe arrecare al nostro organismo.
Si considera completamente guarito il paziente se il virus non è più rilevabile nel sangue 24 settimane dopo la fine della terapia.
Effetti sulla famiglia del paziente
L’epatite è una strana malattia. Strana da un punto di vista emotivo, sia per il diretto interessato che per i suoi famigliari e le persone che gli sono accanto.
A volte non ci si accorge di averla, altre volte il sistema immunitario la sconfigge senza che ci si accorga di quanto sta succedendo nel proprio corpo, altre volte ancora però raggiunge livelli di gravità che ingenerano preoccupazioni e paura.
È in quest’ultimo caso ovviamente che si ha un coinvolgimento emotivo delle persone più care, le quali non possono non essere coinvolte nella battaglia diretta a sconfiggere o comunque a convivere con le gravi malattie che possono derivare dall’epatite C.
A questo si aggiunge la paura di essere a propria volta contagiati e ciò non può che influire sulle normali attività quotidiane; anche radersi diventerà un’attività ad alto rischio per le persone conviventi.
Non bisogna inoltre sottovalutare il percorso lungo e travagliato che si affronta nei casi in cui, come nella vicenda sopra richiamata, il contagio sia stato causato da un errore umano e si sia deciso di volere giustizia nelle aule di tribunale. Non è la sola malattia a rappresentare un peso nella quotidianità famigliare, ma anche l’incombente processo, per il quale dovranno utilizzarsi energie fisiche ed economiche.
È vero, all’esito dello stesso, qualora i nostri diritti siano riconosciuti, sarà la controparte a pagare le spese processuali e le spese legali che abbiamo sostenuto, ma con ogni probabilità avremo già anticipato quelle spese e ci saremo caricati del rischio di non venire mai rimborsati.
Non si può quindi prescindere dall’essere affiancati dai propri famigliari, i quali saranno coinvolti anche sotto il profilo economico e dovranno sostenerci e incoraggiarci nella lotta per il ripristino della giustizia, sebbene non possa non esservi il pensiero che tutto ciò potrebbe essere inutile.
Le delicate operazioni di trasfusione
La trasmissione dell’epatite C, specie per contatto sanguineo è oggi dovuta quasi soltanto ad errori medici, essendo dagli anni 90 ormai in uso tutta una serie di precauzione volte proprio ad evitare che vi possa essere contagio nel corso di operazioni trasfusionali, come ad esempio il test di screening sulle donazioni.
Tuttavia, sono ancora molti i comportamento che possono condurre alla contrazione del virus HCV.
Alla tossicodipendenza endovenosa cui già sopra si è fatto riferimento, si aggiungono condotte a rischio molto più frequenti che possono riguardare da vicino noi e i nostri figli, anche laddove ci sentissimo al riparo dall’eventuale contagio dovuto alle droghe. Questo difatti può avvenire anche in ragione di tatuaggi o piercing, o altre procedure invasive, che dovrebbero essere eseguite con strumenti monouso ma che purtroppo non sempre sono effettuate secondo i normali standard di sicurezza.
Così come avviene anche in occasione della medicina estetica, ossia nell’iniezione di acido ialuronico o altre sostanze finalizzate a rendere un turgore temporaneo a parti del viso.
Ancora, può accadere che il virus si trasmetta dalla gestante al figlio, o durante l’allattamento, qualora la madre non sia al corrente, vista la frequente assenza iniziale di sintomi, di essere affetta dalla malattia.
Per tentare di mettersi al riparo, o almeno evitare di “andarsela a cercare”, occorrerebbe coprire sempre bene eventuali ferite, utilizzare solo per sé rasoi, forbici o altri strumenti radenti, smaltire in maniera appropriata gli aghi utilizzati e informare sempre i medici delle proprie condizioni.
Virus HIV
Quando si parla di malattie la cui trasmissione ci spaventa e dalle quali vorremmo essere sempre al riparo non può che farsi riferimento al virus dell’HIV. Anche in questo caso i comportamenti diretti ad evitare ogni tipo di contagio possono diventare ossessivi.
Inoltre anche in questa ipotesi il contatto sanguineo provoca con una percentuale del 100% la trasmissione del virus, che potrà essere contratto anche mediante la consumazione di rapporti sessuali non protetti.
L’elemento peggiore che accomuna le patologie di questo tipo non è rappresentato dalle condizioni cliniche che queste comportano, ma dall’insorgere della paura del contatto, il timore che una persona che amiamo si avvicini a noi.
Quasi per istinto di conservazione siamo portati a tutelare la nostra salute, anche a scapito della persona per cui nutriamo dei sentimenti.
Richiesta di Risarcimento
Se la causa delle nostre sofferenze è rappresentata da un errore evitabile commesso da chi non stava lavorando come avrebbe dovuto, allora dobbiamo combattere e far sì che le nostre ragioni siano riconosciute. Lo strumento che abbiamo a disposizione è l’azione civile, che ci porterà al riconoscimento in nostro favore di una somma risarcitoria.
Non saranno i soldi a restituirci la salute e la serenità, ma certamente questi saranno in grado di restituirci un qualcosa che forse in Italia è andato per sempre perduto: il coraggio e la forza di credere nella giustizia, con la consapevolezza che prima o poi questa si affermerà e ci farà sentire tutelati.
Ove l’errore sia stato commesso da un’infermiera che attraverso il contatto di sangue ha provocato la trasmissione del virus, è possibile agire direttamente nei confronti della struttura sanitaria presso cui l’infermiera esercita.
Dopo aver descritto accuratamente l’episodio, al fine di dare prova della fonte del proprio diritto e del non corretto adempimento da parte di un membro del personale parasanitario, il paziente dovrà chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali riconducibili alla responsabilità contrattuale della struttura, la quale risponde ai sensi degli articoli 1218 e 1228 c.c., ossia per l’inadempimento del contratto di spedalità da essa stessa concluso al momento dell’accettazione del paziente, nonché per i danni causati dai terzi della cui opera si avvale nello svolgimento della prestazione.
I danni saranno quantificati dal giudice secondo due diverse modalità: per i danni non patrimoniali si procederà secondo equità, tenendo conto di fattori come l’incidenza del danno alla salute, il danno morale, la sofferenza causata e l’età del paziente, per i danni patrimoniali invece si effettuerà un calcolo matematico tenendo conto delle spese sostenute e del mancato futuro guadagno.